COMUNICAZIONE NON VERBALE, EMOZIONI E APPROCCIO AL PAZIENTE

di Luca Luciani e Daniele Le Grottaglie

L’alleanza terapeutica parte da un efficace approccio al paziente. Un buon approccio si basa sull’ ascolto, sull’autenticità e sull’attenzione. È un momento fondamentale di ogni percorso terapeutico perché sono in gioco le emozioni. Emozioni che possono essere delle ottime alleate del fisioterapista oppure essere nemiche del processo di guarigione (placebo vs nocebo) Ed è proprio sull’argomento “approccio ed emozioni” che dedicheremo spazio e importanza in questa nostra disamina. Perché? Perché un buon approccio è tutto e può fare la differenza tra un percorso terapeutico di successo o una imbarazzante bocciatura da parte del paziente, ancora prima di cominciare.

Come si suol dire infatti, “La prima impressione è quella che conta” e io credo che ci sia molto di vero in questa affermazione. È vero che poi, se non siamo del tutto ottusi, basiamo il nostro giudizio su tanti altri fattori che vengono fuori col tempo, ma l’imprinting che diamo di noi alle persone, in genere ha la sua importanza.

Spesso in ambito ospedaliero, dove ovviamente non c’è il tempo di conoscersi che avrebbe una coppia di ragazzi che decidono di iniziare a frequentarsi, il successo o l’insuccesso di un’esperienza o di un percorso terapeutico è condizionato proprio da quel primo momento in cui il medico/operatore si approccia al paziente. Non dobbiamo dimenticare infatti che l’elemento istintivo ha spesso un peso determinante nel nostro meccanismo di giudizio verso gli altri e verso le situazioni. Poi a freddo può anche intervenire il ragionamento o la razionalizzazione, ma a ognuno di noi è capitato di dire qualche volta, “Quella persona non mi è simpatica. Non so perché, ma a pelle non mi convince”. Nell’approccio tra operatore sanitario e paziente, questo fattore è oltremodo importante e se non lo gestiamo nel modo giusto, potremmo trovarci a doverci mettere una pezza in un secondo momento… quando forse è troppo tardi. E poi non è mai bello trovarsi in una situazione dove dobbiamo recuperare una brutta figura e rincorrere un rapporto di fiducia che si è incrinato già in partenza.

Quindi come dobbiamo comportarci per dare al paziente una buona immagine di noi? Non c’è una ricetta sicura al cento per cento e non si può pretendere di piacere a tutti, ciò nonostante possiamo comunque aumentare le nostre percentuali di successo e ridurre al minimo il rischio di spiacevoli debacle, facendo attenzione a piccoli ma importanti accorgimenti. La postura che assumiamo, il nostro abbigliamento, l’espressione che sfoggiamo o il tipo di sorriso che rivolgiamo al nostro interlocutore sono tutti elementi che spostano l’ago della bilancia tra “mi piace” e “non c’è da fidarsi”. Va da sé che se la mia postura è scomposta, se il mio abbigliamento è trasandato, se porto in faccia l’espressione tipica di chi gli è appena morto il gatto e fingo un sorriso che sembra tirato con le mollette, non ci vuole un premio Nobel per capire che le mie probabilità di successo non saranno altissime. A quel punto potremmo anche tentare di recuperare dicendo le cose più sensate e usando le parole più belle, ma il contatto col paziente ce lo siamo già giocato. “Thin slicing” è un’espressione inglese e si riferisce alla capacità di ogni essere umano di trovare modelli basati solamente su precedenti brevi esperienze di vita. Il termine fu coniato nel 1992 dagli psicologi Nalini Ambady e Robert Rosenthal sul Psychological Bulletin. In italiano, più semplicemente, potremmo definirla come la “scienza della prima impressione”. Secondo la psicologia, infatti, ci sono alcuni lati caratteriali di ogni persona che possono essere captati dopo pochi secondi dal primo incontro. Poco importa se poi si rivelino impressioni corrette o sbagliate.
Questa è una cosa tipica della comunicazione non verbale ed è per questo che il nostro modo di essere e di comportarci, incide in maniera così potente nel nostro approccio con il paziente o con chiunque entriamo in contatto per la prima volta.

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