CONSIGLI PER UNA BUONA COMPLIANCE TERAPEUTICA

di Vittorio Calzari

Quando Marco Musorrofiti, il Direttore di questa Rivista, mi ha chiesto di scrivere un articolo mi sono sentito in imbarazzo: io sono un fisioterapista, non un giornalista, e non ho molto da insegnare a giovani colleghi neolaureati molto più aggiornati di me.

Parlando però con alcuni di questi colleghi è emersa, nonostante la loro straordinaria preparazione da un punto di vista tecnico, la difficoltà a farsi seguire dal paziente, a fare in modo che lui svolga gli esercizi a casa, e più in generale a stabilire una corretta alleanza terapeutica.

Mi permetto di dare alcuni semplici consigli dettati dall’esperienza, sperando che possano risultare utili.

Accoglienza. Alcuni colleghi sottovalutano questo aspetto. La premessa è che Il paziente che si rivolge ad un fisioterapista ritiene invalidante il suo problema. Potrebbe essere in ansia, non sapendo cosa lo aspetta o non conoscendo il terapeuta. La capacità di accoglierlo con un sorriso spontaneo, con una calorosa stretta di mano e di metterlo a suo agio è qualcosa che può facilitare il successivo percorso di riabilitazione.

Vi invito a non accogliere il paziente con lo smartphone in mano: è un’immagine bruttissima che manda al paziente il messaggio che lui non è così importante e che in quel momento è invece prioritaria la vostra conversazione su Whatsapp o le notifiche che arrivano dai social network.

Per quanto riguarda il tipo di approccio molti colleghi accolgono il paziente direttamente in maniera informale con un “Ciao” e dando del “Tu”. Ricordo quando durante un tirocinio in università ho salutato allo stesso modo una paziente e la sua risposta secca “Preferirei essere chiamata signora” mi lasciò interdetto. In quel momento ci rimasi male ma con il tempo ho imparato una grande lezione da quella paziente: non devo essere io a prendermi la libertà di dare confidenze. Il mio consiglio, invece di dare per scontato che al paziente faccia piacere un approccio informale è di chiederglielo: “Preferisce che ci diamo del lei o del tu?”

Ascolto. Mi è capitato in passato di rivolgermi ad alcuni medici per motivi di salute e che questi invece di farmi spiegare il mio problema mi interrompessero continuamente per farmi domande. Mi è capitato anche di incontrare medici che durante la visita con me rispondevano al telefono parlando con altri pazienti. Queste brutte esperienze mi hanno fatto pensare a cosa non dovevo fare durante una valutazione con il paziente e a cosa volevo fare con lui: ascoltarlo e dargli l’attenzione che meritava.

Consiglio di cominciare il dialogo con frasi generiche che possano dare spazio al vissuto del paziente (“Come mai è venuto da me? Cosa posso fare per aiutarla?”) e di evitare di interromperlo durante il suo racconto: il paziente vi dirà ciò che lui ritiene importante. Sarete voi a filtrare le sue parole e potrete fargli ulteriori domande al termine della sua narrazione.

CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO SUL NOSTRO MAGAZINE DI GIUGNO 2024: CLICCA QUI



Articoli simili

Lascia un commento